Ben ritrovati,
oggi vorrei parlarvi del ritiro in una particolare fase evolutiva di cui mi occupo, l’adolescenza.
La parola già di per sé indica una chiusura, solitamente una chiusura verso il mondo esterno o verso qualcosa in particolare.
É chiaro che non tutte le forme di ritiro assumono e si presentano con la stessa gravità e con la stessa intensità e che oltre un certo limite rientrano nell’esperienza comune. Ma, come per ogni cosa, quando assumono caratteristiche pervasive, cioè quando non consentono di vivere la vita normalmente o quando limitano enormemente alcune aree della nostra esistenza, allora possiamo considerare il ritiro come una vera e propria patologia che va adeguatamente trattata. I rischi sono l’isolamento, la perdita dell’autonomia, la mancanza di obiettivi e di integrazione con il mondo e con la realtà.
In che modo si può presentare il ritiro?
Possiamo avere dei figli che sono sempre stati timidi, molto sensibili alle relazioni, ai giudizi, propensi a vergognarsi e a imbarazzarsi facilmente oppure che si sono sempre tenuti in qualche modo distanti dalle relazioni, a volte disinteressati dalla realtà, più propensi a chiudersi in sé stessi, magari anche dei figli creativi, con molta immaginazione e con la tendenza a fantasticare. Questi aspetti in un certo senso possono essere dei fattori coadiuvanti il ritiro, anche se ovviamente è sempre l’interazione di una serie di fattori individuali, biologici e sociali che determina il presentarsi della sintomatologia stessa.
Quello che però a un certo punto può accadere è che il ragazzo o la ragazza in questione non voglia più andare a scuola, magari non voglia più uscire dalla sua stanza, spesso utilizza i videogiochi, internet, si isola nelle sue attività e inizia gradualmente a chiudere fuori il mondo che tanto lo spaventa. Ma perché non inserire anche in questa categoria di adolescenti ritirati tutti quei ragazzi che utilizzano delle dipendenze (alcol, droga, comportamenti promiscui, gioco d’azzardo) per far fronte a delle emozioni disturbanti? Non si tratta di adolescenti chiusi in casa solitamente, ma anche questi, come i primi, presentano dei comportamenti di ritiro, che più che essere pervasivi sono circoscritti in alcune aree.
Ora provo a spiegare perché….
Quando parlo di ritiro, mi riferisco anche a quello che Steiner definisce come “rifugio della mente” che non è altro che un’area/luogo dove la persona si rifugia per far fronte al dolore emotivo (che può essere una forma di dolore pari a quella fisica). Quest’area può essere solo nella nostra mente e la persona può perdersi nel suo rifugio per ore, giorni, settimane eludendo così la realtà e trovando invece un qualcosa che gli fornisce piacere e anche un senso di potenza personale che spesso fuori non riesce a provare. Quest’area può essere però anche un qualcosa di concreto, per esempio, un videogioco, l’uso di una particolare sostanza, sessualità compulsiva, entrare a far parte di gruppi particolari, ecc.
Quello che ci tengo a sottolineare in questo articolo è proprio l’utilità soggettiva del ritiro: un forte sentimento di impotenza, emozioni e situazioni disturbanti e che superano la soglia soggettiva di sopportazione vengono evitati e sostituiti entrando in un “mondo alternativo”. Questo mondo alternativo fornisce un sollievo alle condizioni di sofferenza e crea in qualche modo un senso di piacere.
Come fare a capire quando il proprio figlio si sta ritirando in maniera patologica?
Credo che la rigidità del comportamento e la dipendenza siano due fattori importanti.
Più tempo la persona passa nel suo rifugio, meno riuscirà a coltivare dentro di sé gli strumenti per affrontare la vita. Si ricorda infatti che pur avendo la sua utilità temporanea nel mitigare certe sofferenze e emozioni, resta sempre un’esperienza isolata che può in alcuni casi allentare il contatto con la realtà.
Cercherò di approfondire maggiormente questo argomento nei prossimi articoli.