Cari lettori,
Oggi vorrei parlarvi della sensibilità al rifiuto.
Nelle nostre esperienze di vita può essere capitato a ciascuno di noi di sentirsi rifiutato, magari da bambino quando voleva stringere amicizia con un gruppetto di altri bambini oppure da un partner, da un colloquio di lavoro, da un amico o da un gruppo.
Talvolta queste esperienze sono particolarmente dolorose, ma pensate a quando queste sono ripetute nel tempo. E se i primi e ripetuti rifiuti fossero arrivati proprio da chi si è preso cura di noi? Come impatta sulle nostre successive relazioni? Naturalmente non dobbiamo dimenticarci anche del ruolo che rivestono o che hanno rivestito le esperienze fra pari in adolescenza perché è proprio in questa fase caratteristica che il rifiuto o l’accettazione hanno un ruolo pregnante.
Downey e Feldman (1996) hanno elaborato proprio il costrutto di “sensibilità al rifiuto” per spiegare il motivo per il quale le persone che hanno avuto esperienza ripetute di rifiuto a partire dai propri caregiver, abbiano poi delle difficoltà nelle relazioni successive. Quando una persona subisce rifiuti ripetuti, infatti, soprattutto nelle prime relazioni con i propri genitori o caregiver allora è probabile che questi abbiano degli effetti a lungo termine influenzando lo sviluppo emotivo e cognitivo.  In che modo?

  • Si creano delle aspettative negative rispetto agli altri
  • Si sviluppa un bias interpretativo rispetto ai comportamenti delle altre persone che vengono letti erroneamente viste come rifiutanti anche quando non lo sono.

Una profezia che si auto-avvera
La sensibilità al rifiuto dunque definisce la tendenza a dare eccessivo peso o a reagire esageratamente ai segnali di rifiuto delle persone. In un certo senso la persona si aspetta di essere rifiutata, ma questa aspettativa spesso è associata ad un bias (errore) nella percezione dei segnali di rifiuto.
Questa ipersensibilità al rifiuto può generare un circolo vizioso relazionale dove spesso la persona attira effettivi rifiuti: se ci si aspetta di essere rifiutati, ci si può tenere distanti dagli altri e questo tendenzialmente porta gli altri a rispondere con altrettanta distanza, ma nella persona ipersensibile al rifiuto questo comportamento dell’altro viene visto come la prova di non accettazione e conduce a una maggiore chiusura relazionale.

Due tipologie di reazioni difensive al rifiuto

Secondo Downey, Lebolt, Rincòn et al. (1998) esistono due modalità che le persone “sensibili al rifiuto” possono utilizzare:
a) ansiosa
b) aggressiva

Altri studi inoltre, hanno riscontrato che le persone che utilizzano la modalità ansiosa sono più propense sviluppare una sintomatologia “internalizzante” cioè esprimere il proprio disagio e la propria sofferenza psichica attraverso manifestazioni rivolte all’interno, come per esempio, ansia, depressione, somatizzazioni, ritiro sociale.
Le persone che invece utilizzano la modalità aggressiva utilizzano maggiormente la modalità “esternalizzante” che significa esprimere il proprio disagio e la propria sofferenza attraverso comportamenti rivolti all’esterno e provocando una situazione di difficoltà e disturbo nell’ambiente come per esempio nei disturbi del comportamento (ADHD, disturbo oppositivo-provocatorio ecc.)


Fattori protettivi in adolescenza

Secondo lo studio di Grazia e Molinari del 2018, è possibile che il sentimento di appartenenza all’interno del contesto scolastico funga da fattore protettivo e dunque maggiore è questo sentimento minore è la sensibilità al rifiuto. Secondo le autrici dunque è importante che gli studenti si sentano coinvolti nella vita di classe così che questo possa mitigare, qualora emergenti, gli stati ansiosi dovuti al confronto con i pari.
Altri studi (London, Dowey e Mace, 2007) hanno dimostrato che il senso di agency degli studenti è collegato alla sicurezza nelle interazioni con i pari, a una maggiore apertura e dunque ad avere una maggiore fiducia e propositività verso gli altri.

Come gestire la paura del rifiuto
Quando ci troviamo di fronte a una potenziale situazione di rifiuto prendersi del tempo per riflettere sulle varie possibilità e spiegazioni che potrebbero indurre l’altra persona ad avere un atteggiamento rifiutante o distanziante.

Prendersi del tempo anche per esplorare il ruolo che noi assumiamo all’interno della relazione e come il nostro comportamento potrebbe aver influenzato la situazione.

Cercare di avvicinarsi agli altri, senza essere prevenuti, allargare per quanto possibile le proprie conoscenze e darsi la possibilità di esplorare differenti relazioni, gruppi e situazioni.

Ricordarsi sempre che essere rifiutati non significa essere privi di valore, a volte un rifiuto non è collegato direttamente alla nostra persona.

A presto!
​Dott.ssa Sara Pontecorvo

Bibliografia

  • Downey, G, Feldman, S. (1996). Implications of rejection sensitivity for intimate relationships. Journal of Personality and Social Psychology, 70 (6), 1327-1343.
  • Downey, G., Lebolt, A., Rincòn, C., Freitas, A.L. (1998). Rejection sensitivity and
  • children’s interpersonal difficulties. Child Development, 69(4), 1074-1091.
  • Grazia, V.; Molinari, L. (2018). “Sensibilità al rifiuto e benessere relazionale in adolescenza” in Psicologia Clinica dello Sviluppo a. XXII, n 2, pp. 399-410.
  • London, B., Downey, G., Mace, S. (2007). Psychological theories of educational
  • engagement: A multi-method approach to studying individual engagement
  • and institutional change. Vanderbilt Law Review, 66(2), 455-481.

Sara Pontecorvo

Sono Sara, una psicologa clinica e psicoterapeuta specializzata nell’approccio alle criticità della fase adolescenziale. ASCOLTO, CONFRONTO, FIDUCIA RECIPROCA. Su questo baso il mio rapporto con i ragazzi e le loro famiglie.

Scopri di più su di me

Prenota appuntamento

Grazie per la tua richiesta! Verrai contattato a breve.
There was an error trying to send your message. Please try again later.

Leave A Comment